Si parte sempre dal Mugello, più precisamente da Scarperia (Fi), in cerca di qualcosa. Cosa c'è di meglio di randagiare vicino o lontano da casa, per vedere posti, incrociare odori, sapori, umori, per sentire quella sensazione di scoperta ad ogni passo che fai? Per me nient'altro!
La curiosità è la miglior benzina al mondo, per cui....ecco il perchè di questo blog, un posto dove racchiudere tutti i miei passi, in moto ma non solo. Se vi va di dare una sbirciata siete i benvenuti, altrimenti....ci vediamo a zonzo da qualche parte ;-)

Dove andare a curiosare

venerdì 10 aprile 2009

Comacchio with Loppy

Era da agosto dell’anno scorso che Loppy non vedeva la 5°.
Quando l’ho inserita la conversazione è stata circa questa:

  Loppy – Oh!
  Baffo – Che c’è?
  Loppy – Che fai?
  Baffo – Metto la 5°
  Loppy – Sei sicura che funzioni sempre?
  Baffo – Dovrebbe
  Loppy – Me la puoi alternare alla 4°? Così mi abituo…
  Baffo – Ci mancherebbe

Dopo i mesi invernali in cui abbiamo circolato solo in Appennino e poco anche lì a dire il vero di quale malefico misto stretto con foglie-fango-brecciolo-bestie morte-etc… tipico tratto pre-appenninico con quei maledetti tornantini in quei viottoli stretti e pieni di cani che l’amministrazione pubblica si ostina a chiamare statali e provinciali finalmente si punta fuori provincia e anche fuori regione.
Ho bisogno di riprendere fiato, di non stare sempre aggrappata al ferro con il terrore dell’imprevisto prevedibile come la strisciata di gasolio in curva del maledetto furgoncino delle consegne che doveva proprio passare il sabato mattina dal Paretaio, almeno una volta nella vita, una sola, vorrei fare dei tratti diritti. Così, per vedere com’è.
Infamia e vergogna nonché un anatema incombono sul mio cranio coperto dal casco. Eppure porcaccia miseria per una volta vorrei riuscire a “pensare” quando guido.

Ore 7.00 – sveglia.


Lo so dove andiamo, COMACCHIO! Che cacchio ci fai a Comacchio? Facile, vedo i canali, mangio anguilla, schiaccio moscerini.
Per una volta nella mia carriera so la strada, almeno fino ad un certo punto. Procediamo dal Giogo, passo amico e per una volta anche pulito, facciamo l’imolese, strada nota, passiamo da Imola, direzione Ravenna, pezzetto di zona industriale, Argenta, poi uno zompetto per attraversare una statale e tutto cambia.


All’improvviso qualcosa nella struttura molecolare mia e della moto si modifica, trasliamo in un universo parallelo dove, a parte le strade dritte che il motard depreca, tutto pare come sollevare dalle umane tragedie e il panorama è di un colore misto grigio, rosso, verde, a tratti giallo, soffia un vento innaturale, uccelli lunghi, enormi, grigi, striati con occhi enormi si alzano in volo.
Siamo in una strada in mezzo alla laguna, alle acque salmastre, con un odore che non conosco perché non mi appartiene. Ho acqua da entrambi i lati e se le strade con i prati e senza guard rail mi creano affanno, l’acqua, contrariamente, nonostante sia ad un passo da me, mi genera quiete.
Vago, non guido.
Vedo in lontananza qualcosa che dovrebbe essere terra ferma, vago seguendo il fanalino di Carlo, che ha la cartina e mi condurrà. Giriamo ancora e si genera un vuoto cognitivo, in cui rivedo le foto del Kansas di Daniel (Kalal n.d.r.) e mi dico che sono pronta per gli Stati Uniti e per le loro vastità fatte di case sporadiche, campi coltivati, pali della luce che si susseguono a bordo strada. Guido per qualche minuto di cui non ricordo altro che le immagini e nessuno movimento mio o della moto. Sento le voci di chi vive lì, delle madri che dicono ai bambini di non allontanarsi troppo in bicicletta. Eppure guido, ma non sembra affatto.
Mi riporta alla realtà uno stop, perché realizzo che mi dovrò fermare e dovrò dare delle indicazioni chiare ai miei arti. Guardo l’ora. Sono passati svariati minuti di totale incoscienza.
Stop. Devo scuotere la testa per farle riprendere il corso normale. Anche Loppy era sospeso. Anche lui scuote i cilindri.
Basta, il mondo chiama, andiamo a Comacchio, parcheggiamo, scendiamo e ci teniamo le giacche perché non è proprio un caldo asfissiante. Attraversiamo la strada e di nuovo la trasformazione.


Un canale con case piccole, basse, colorate, una parlata incomprensibile e due passi per una piccola città con piccoli negozi, ragazzi in motorino, in bicicletta, signore con piccoli cani festosi. E se festeggiano loro avremo ben il diritto di festeggiare anche noi. Basta col solito panino mangiato sugli scalini!






Cerchiamo un piccolo posto con un piccolo prezzo e troviamo un minuscolo ristorante “da Melixa” a cavallo di un altrettanto piccolo canale che ci offre un menu che di piccolo ha solo il nome. Per 16 euro a testa ci viene piazzata davanti una cofana di tortelli di pesce con frutti di mare, un pezzo di anguilla alla griglia (vivissimamente consigliata) con polenta e ½ litro di vino.




No, non è avanzato nulla !!!!
Nel ripartire ci rendiamo conto che non siamo in grado di guidare, la digestione è intensa e non arriva sangue al cervello. Tornando alle moto un muretto a bordo laguna ci fa un cenno. Ci sediamo. Ci accostiamo. Ci stendiamo. Dormiamo. Secchi per qualche minuto.


Che meraviglia. I gabbiani di cui temiamo le deiezioni ci risparmiano, il cigolio delle barche, il sole, il vento ci cullano. I turisti ci deridono. Ma non sanno. Non possono sapere. Sono in bici, in macchina, in camper, sono vestiti da turisti, con gli zaini, le macchine fotografiche, quelle scarpe improponibili, il k-way, il cappellino, il calzino corto. Noi siamo bardati come astronauti.
La ronfata ci voleva, ripartiamo ma invece di puntare casa, Carlo fa “Delta del Po?” e così sia.


Goro e Bosco della Mesola. Sbaglio a guardare il conta km, segna 232 e la riserva. Lui vorrebbe farmi fare il ponte di barche, ma io punto al distributore perché poi la sua non la so mandare mi toccherebbe spingere la mia. 
Per evitare di avere cedimenti al pensiero dei km di rientro, metto l’ora. Forse era meglio nulla.
Sono le 20.00 e siamo verso Forlì. Il vaffanculo al SUV che mi suona per sorpassarmi a destra ci stava proprio bene.
Direzione Muraglione.
Solo direzione però, perché chi l’ha visto il Muraglione? A parte i tratti illuminati dai lampi. Sì, perché alle 21.00 sul Muraglione piove, lampa e fulmina. Dire che non ci vedo nulla è un eufemismo. Mi rendo conto che c’è un rampino a sinistra perché vedo il fanalino di Carlo che invece di essere in basso davanti è in alto un po’ troppo a sinistra, metto la prima e mi auguro di aver visto bene. In cima al passo il bar è aperto.



Grazie! Ci facciamo scaldare un panino, acqua, caffè, ci vestiamo con tutto quello che è rimasto dell’antiacqua e ripartiamo. Sotto di noi San Godenzo.


Io sono cieca, non vedo, mi danno noia i fari, mi rassegno a guidare a naso e a orecchio, funziona abbastanza perché nonostante tutto vedo passare i cartelli dei paesi e la direzione è giusta. Piove. Quando arrivo al bivio che mi porta allo stop che odio di più, ringrazio, vuol dire che sono a casa. Mi rifiuto di guardare l’ora. La spia della riserva mi fa un breve cenno, come dire, alla prossima uscita fai benza, per ora non c’è bisogno.
Sono passate le 23.00 quando infilo l’entrata del garage. Guardo Carlo e gli dico : “Mettila dentro te”, ho le braccia inchiodate dal freddo e un po’ anche dalla strizza della guida approssimativa che ho usato. Carlo sorride. Tutta esperienza. Sì, amore mio, esperienza del menga. S’era detto non più di 300km, qui segna 428.8, per essere precisi e ed erano 2 mesi che non salivo sul Guzzi.
Domani sto a casa in mutande!



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